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Commento all’articolo: “Vitamin D supplementation to prevent acute respiratory infections: a systematic review and meta-analysis of aggregate data from randomised controlled trials”
Jollife D.A., Camargo Jr C.A., Sluyter J.D., et al.
Lancet Diabetes Endocrinol. 2021 May;9(5):276-292. doi: 10.1016/S2213-8587(21)00051-6. Epub 2021 Mar 30
A distanza di circa 3 anni da una precedente meta-analisi sul tema (1), Jollife e colleghi tornano a parlare di correlazione tra vitamina D e infezioni respiratorie, in un periodo quanto mai caldo per l’argomento trattato.
In questo caso gli studi randomizzati-controllo che sono stati presi in esame sono 46 [nella meta-analisi del 2017 erano 25 (1)], con una Medline aggiornata al 1 maggio 2020. Gli studi presi in considerazione sono stati quelli che valutavano come la somministrazione di D3, D2 o 25 (OH) vitamina D avesse, comparata rispetto a un gruppo controllo che assumeva placebo o dosaggi inferiori di preparato, un ruolo preventivo sulla incidenza di infezioni acute del tratto respiratorio (IATR), includendo in questa definizione processi infettivi delle vie aeree superiori, inferiori o di entrambe. Gli studi dovevano essere prospettici e avere precisato tra gli outcome quello sopra riportato come primario o co-primario. Altri outcome presenti negli studi potevano inoltre essere la necessità di accesso in Pronto Soccorso e/o di ospedalizzazione; la morte per IATR; l’assenza dal lavoro per IATR; potenziali effetti collaterali legati alla assunzione di vitamina D (per esempio ipercalcemia o calcoli renali). Per tutti gli studi sono stati presi in considerazione: disegno dello studio; criteri di eleggibilità, metodo utilizzato per il dosaggio di 25 OH vitamina D, durata del trial e numero di soggetti per i quali erano stati raccolti i dati necessari per l’ analisi; laddove si rilevavano lacune sono stati interpellati direttamente gli autori dei lavori stessi per raccogliere dati mancanti.
Sono state quindi operate delle sottoanalisi stratificando i soggetti in esame per: a) valore precedente all’inizio della supplementazione di 25 OH vitamina D (<25 nmol/L; tra 25.0 e 49.9 nmol/L; tra 50 e 74.9 nmol/L; sopra i 75 nmol/l –che in ng/ml vuol dire <10; tra i 10 e i 19.9; tra i 20 e i 29.9 oppure sopra i 30 ng/ml); b) età all’inizio dello studio (<1 anno; tra 1 anno e i 15.99; tra i 16 e i 64.99 anni; sopra i 65 anni); c) schema di somministrazione della vitamina D (a cadenza giornaliera; settimanale; mensile; ogni 3 mesi); d) dosaggio somministrato (<400 UI; tra le 400 e le 1000 UI; tra le 1001 e le 2000 UI, o sopra le 2000 UI); e) durata del trial (pari o inferiore ai 12 mesi oppure superiore); f) concomitante presenza o meno di patologie dell’apparato respiratorio (es. asma; BPCO).
Dei 46 studi eleggibili, 35 sono stati poi quelli tenuti in considerazione. In ben 13 di questi studi i supplementi di vitamina D venivano somministrati come boli mensili o trimestrali; è interessante rilevare come in quasi il 40% degli studi presi in considerazione si sia deciso di somministrare questo ormone steroideo in tale posologia, nonostante dato ormai noto sia quello che boli di vitamina D possano presentare effetti addirittura paradossi sul metabolismo osseo (2), e quindi nulla esclude potenzialmente anche sul sistema immunitario, potenzialmente alterando un prezioso steady-state messo in atto dall’organismo stesso tra risposta immunitaria e soppressione della stessa (3). Inevitabilmente prendere in esame studi differenti senza tenere conto di queste diversità metodologiche potrebbe portare a conclusioni non significative o di addirittura effetto negativo della somministrazione della vitamina D (4).
Ulteriore importante dissertazione metodologica può essere effettuata relativamente ai valori di partenza della 25 OH vitamina D. Nella precedente meta-analisi di Martineau et al., l’effetto protettivo contro le infezioni di tale supplementazione si osservava in particolare in soggetti con valori di partenza di 25 OH vitamina D inferiori ai 25 ng/ml (1). Coerentemente studi effettuati sulla popolazione neozelandese, mediamente non carente grazie alla fortificazione dei cibi con vitamina D, non riportavano effetti significativi con la somministrazione di supplementi a dosaggi medio-alti (5).
Un aspetto importante, non preso in analisi in questo lavoro (e considerato dagli autori stessi come punto debole della meta-analisi, insieme alla mancanza di dati sull’etnia di appartenenza dei soggetti esaminati, nonché di eventuale assunzione di alimenti e/o integratori contenenti vitamina D da parte dei soggetti in esame) potrebbe essere l’impatto dell’eterogeneità del Body Mass Index (BMI, rapporto tra peso e altezza al quadrato) tra i pazienti inclusi nei diversi studi. E’ infatti nota l’alta prevalenza di ipovitaminosi D nei soggetti obesi; questo può esser spiegato da un lato dall’alta liposolubilità di tale ormone, che resta in buona parte sequestrato nel tessuto adiposo (6) ed inoltre è stata ipotizzata anche una alterata azione degli enzimi 25 idrossilasi e 1-α-idrossilasi nei pazienti obesi (7). In mancanza di un adeguamento del dosaggio di vitamina D nei soggetti sovrappeso/obesi, la cui necessità è suggerita da uno studio condotto in una particolare sottopopolazione, quale quella dei pazienti ipoparatiroidei (8) anche l’effetto sul sistema immunitario della supplementazione con vitamina D rischierebbe di essere sottostimato. L’importante correlazione tra BMI e vitamina D è stata ulteriormente confermata da un recente lavoro che ha preso in esame proprio pazienti ricoverati per COVID-19 (9). Pazienti affetti sia da obesità, che da ipovitaminosi D, trovavano nella coesistenza di questi due stati, un potenziamento sinergico nel rischio di presentare infezioni severe.
L’assenza del BMI tra i dati antropometrici riportati negli studi presi in esame da questa meta-analisi sottolinea la frequente sottovalutazione dei ricercatori e dei clinici del possibile ruolo chiave di sovrappeso o obesità nel metabolismo della vitamina D. Infatti, essendo così largamente presenti nella popolazione generale tutti gli studi sulla terapia con vitamina D inclusi quelli sulle infezioni potrebbero portare a risultati non concludenti qualora la scelta del dosaggio di colecalciferolo o di suoi metaboliti attivi da somministrare al paziente non tenga conto del suo BMI.
I risultati della meta-analisi oggetto del presente commento rilevano una lieve riduzione del rischio di IATR nei pazienti supplementati di vitamina D rispetto al gruppo che assumeva placebo (61.3% vs 62.3%; OR 0.92 95% CI 0.86-0.99) in assenza di effetti collaterali. In particolare a differenza della precedente meta-analisi dello stesso gruppo (1), i valori pre-terapia di 25 OH vitamina D non sembravano trovare correlazioni con l’effetto che la supplementazione determinava sul rischio di IATR; questo per l’aggiunta di dati negativi di 4 nuovi studi di lunga durata (tra i 2 ei 5 anni) nei quali erano somministrati dosaggi giornalieri complessivamente più elevati di vitamina D (2000 UI/die), ancora una volta sottolineando l’importanza di come l’effetto della terapia, dipenda dagli schemi posologici da noi prescelti in termini di dosi, durata e intervalli di somministrazione. Si è registrato invece un effetto protettivo soprattutto in soggetti giovani e in quei trial nei quali il regime di somministrazione era giornaliero (OR 0.78 [95% CI 0.65-0.94]), la dose somministrata si attestava tra le 4000 e le 1000 UI/die (0.7 [0.55-0.89]) e la durata di somministrazione era equivalente o inferiore ai 12 mesi (0.82 [0.72-0.93]).
Gli autori concludono come ovviamente la possibilità di calare questi dati nel panorama della attuale pandemia da SARS-COV-2 richieda ulteriori analisi, ma cionondimeno sulla base di questo lavoro alcune considerazioni prospettiche possono essere proposte: a.il ruolo principale della supplementazione con vitamina D come emerge anche dalle raccomandazioni recentemente pubblicate da GIOSEG (11) è quello della prevenzione dell’infezione; b. il dato di effetto protettivo su quella fascia di soggetti più giovani e abitualmente non supplementati potrebbe aprire scenari interessanti in questi giorni di riapertura scolastica in attesa di trovare soluzione al dibattito inerente alla possibilità o meno di vaccinare i più giovani; c. la supplementazione con vitamina D potrebbe infine trovare un ulteriore ruolo preventivo importante nel potenziare la protezione conferita dal vaccino anti COVID-19.
BIBLIOGRAFIA
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